Recensione Die Crew: “Houston, abbiamo un giocone!”

Com’ è possibile che 40 carte e 15 segnalini riescano a garantire serate e serate di gioco ininterrotto?

Thomas Sing, l’autore, ha veramente trovato l’uovo di Colombo dei giochi di carte?

Davvero è solo febbraio e già si parla di una nomination per lo Spiel Des Jahres?

Vorrei rispondervi ma devo andare: mi aspettano per un’altra missione a Die Crew!

Intro

Ai confini del sistema solare, il Nono Pianeta attende.

Gigantesco. Misterioso.

Per qualcuno non esiste neppure. E’ un mito, è una leggenda, dicono. Secondo questi scienziati le distorsioni nelle rilevazioni della sonda Voyager, le inspiegabili interruzioni nelle comunicazioni, sarebbero soltanto guasti tecnici, errori degli strumenti.

C’è solo un modo per scoprire la verità, una volta per tutte: inviare ai confini del Sistema Solare un’astronave, con qualcuno a bordo.   Qualcuno che non possa essere ingannato, come le sonde; qualcuno che possa vedere il Nono Pianeta con i propri occhi.

Serviva un equipaggio, una crew. E hanno scelto voi.

Perché siete i migliori, o forse perché siete gli unici abbastanza pazzi da accettare.

E’ un salto verso l’ignoto, un viaggio dove nessuno è mai stato prima. Sarà pericoloso, probabilmente mortale. Le distorsioni vi impediranno di comunicare. Dovrete imparare ad agire come un solo uomo, senza parlare.

Vincerete, o morirete, tutti insieme.

Siete pronti? Il Nono Pianeta vi attende.

 

I materiali

  • 36 carte grandi (da 1 a 9 di quattro colori)
  • 4 carte razzo
  • 5 carte segnaposto
  • 36 carte piccole (da 1 a 9 di quattro colori)
  • 10 segnalini ordine
  • 5 segnalini radio
  • 1 segnale di pericolo (Distress signal)
  • 1 segnalino Comandante
  • Manuale di istruzioni
  • Logbook (contenente le cinquanta missioni)

 

Tutto qui? Sì, tutto qui. Die Crew non è niente più di qualche carta e una manciata di segnalini.

Le carte, di qualità non eccelsa, vanno rigorosamente imbustate anche considerato che vi troverete a mescolarle molto spesso.

I segnalini svolgono bene il loro compito, senza far gridare al miracolo per qualità grafica o dei materiali. Simpatico lo standee del segnalino Comandante.

 

Da in alto a sinistra verso destra: le carte piccole, il segnalino Comandante, il segnalino di pericolo e i segnalini ordine (i maledetti, maledetti segnalini ordine!)

 

Le illustrazioni delle carte sono evocative ed i colori ben riconoscibili. Ad ogni colore, inoltre, corrisponde uno specifico simbolo, consentendo così anche ai daltonici di poter giocare.

Insomma, per sgombrare il campo da ogni dubbio: Die Crew  non è un gioco che si compra o si gioca per la bellezza dei suoi materiali.  Il cuore del gioco è altrove.

 

 

Anche se, dopo tutto, i materiali del gioco non sfigurano affatto.

 

Il gioco, in poche parole

Die Crew è essenzialmente un trick taking game (come Tressette o Hearts).

Il mazzo di carte grandi viene distribuito tra tutti i giocatori (quindi: in 4, ognuno avrà dieci carte in mano). Dopo di che:

– Il primo giocatore (chi ha in mano il razzo con valore 4) gioca una carta di un colore;

– gli altri giocatori, a turno, devono rispondere giocando una carta dello stesso colore;

– chi ha giocato la carta di valore più alto prende la mano.

Se gli altri giocatori non hanno carte del colore della carta giocata per prima, possono giocare una carta di diverso colore (ma perderanno la mano, indipendentemente dal valore) oppure una carta razzo (con valore da 1 a 4). In questo caso le carte razzo prevalgono su ogni altra carta, vincendo la presa.

Fine delle regole.

L’idea geniale di Die Crew (l’uovo di colombo, potremmo dire) è trasformare questo meccanismo in un gioco cooperativo, a missioni, (quasi) senza comunicazione.

Mi spiego meglio.

In ogni partita il gioco vi richiederà di raggiungere determinati obiettivi, di norma individuati grazie al mazzo delle carte piccole.

 

Carte grandi e carte piccole a confronto

 

Nella prima missione, ad esempio, si scoprirà una sola carta piccola: i giocatori vinceranno la missione se il Comandante vincerà la presa contenente quella specifica carta obiettivo.

Nella seconda missione si gireranno due carte. Nella terza le carte saranno sempre due, ma da prendersi in un ordine specifico.

 

Qui entrano in gioco i segnalini ordine: in alto i numeri da 1 a 5 (le carte vanno prese rigorosamente in quell’ordine); sotto i segnalini freccia (che impongono semplicemente che una carta vada presa prima di un’altra, ma senza specificare l’esatto ordine della presa); infine il segnalino Omega (la carta va presa come ultima).

 

A volte le missioni non c’entrano con i segnalini ordine o le carte obiettivo: in una missione un giocatore non dovrà prendere nessuna carta; in un’altra sarà obbligatorio vincere una serie di prese utilizzando un 1, e così via…

Ognuna delle cinquanta missioni è sempre diversa e sempre più impegnativa rispetto alla precedente.

 

 

Missione n. 24. Quattro carte, da prendersi nell’ordine indicato dai segnalini.
Chi indovina la citazione nell’illustrazione della carta n. 2?

 

Problemi di comunicazione

Ovviamente, i giocatori non possono parlare tra loro. Altrimenti il gioco non esisterebbe.

Del resto, siamo nello spazio, in un’area interessata da frequenti e numerosi disturbi.

L’unico modo che hanno i giocatori per comunicare, quindi, è tramite i segnalini radio.

Una volta a partita, prima di iniziare una presa, è possibile mettere una carta davanti a sé e porre il segnalino radio in alto (significa che quella è la carta più alta del colore che si possiede), a metà (l’unica carta) o in basso (la carta più bassa). I razzi non possono mai essere comunicati.

Questo è tutto.

 

Nell’esempio: il due verde è la carta più bassa che ho in mano; l’8 viola la più alta; il 4 giallo, l’unica carta gialla a mia disposizione

 

Nel corso delle missioni  capiterà poi che il gioco ci privi anche di questa minima forma comunicazione: consentendoci di porre la carta davanti a noi ma senza segnalino radio (“Cosa avrà voluto dire, giocando quel 6 giallo?”) oppure costringendoci ad attendere fino ad uno specifico turno per poter ricominciare a comunicare.

 

Un gioco per tutti?

No. Decisamente no.

Die Crew non è un party game, nonostante sia veloce, colorato e preveda persone intorno ad un tavolo che finiranno con l’urlarsi addosso cose (succederà, tranquilli).

Die Crew non è un filler: certo, una partita termina in circa venti minuti (se non meno). Ma giocare una sola mano è sia inutile che impossibile. Inutile, perché perdereste il punto focale del gioco: l’evoluzione delle missioni, la sfida crescente, la coordinazione che si instaura man mano tra i componenti dell’equipaggio fino ad arrivare alla vittoria. Impossibile perché il gioco vi spinge in ogni modo (ci arriverò dopo) ad una partita dopo l’altra. Mettetelo in tavola a fine serata e rischiate di trovarvi la mattina dopo, brioche in mano, a dirvi “Proviamo solo un’ultima volta questa maledetta missione, e poi tutti a casa”.

Die Crew non è gioco facile. Nonostante sia possibile spiegarlo ed intavolarlo in tre minuti, è un gioco che richiede concentrazione ed attenzione. Non può essere giocato svogliatamente, pena la defenestrazione da parte dei compagni di tavolo. Vista la natura stessa del gioco, inoltre, non è nemmeno possibile, come in altri cooperativi, lasciare giocare gli altri ed andare con il pilota automatico. Die Crew pretende la vostra dedizione; la ripaga, però,  con grandi soddisfazioni.

 

Parliamo di numeri

Nonostante la confezione parli di un gioco da 2 a 5 giocatori, il player count ideale è 3 o 4.

In cinque, il gioco è difficilmente controllabile e gli errori saranno all’ordine del giorno.

In due, il Comandante avrà il controllo di Jarvis, un intelligenza artificiale che funge da terzo giocatore. Pur evocativo, nella realtà, il Comandante giocherà con due mani di carte: la sua e una scoperta (che rappresenta Jarvis). Il che, come ovvio, toglie al gioco parte del divertimento.

Parlando, infine, dell’età, il 10+ sulla confezione ci può stare. Come sempre, però, dipende dai bambini con cui lo giocate. Io l’ho testato, nelle prime missioni, anche con i miei figli di 7 e 9 anni e si sono divertiti. Ovvio, se il bambino non ha mai preso in mano un gioco da tavolo e non ha mai fatto una partita a briscola col nonno, forse 10 anni sono troppo pochi.

Il mio consiglio, se lo giocate con dei bambini, è di ridurre le carte almeno nelle prime mani: giocando con le carte da 1 a 6 invece che da 1 a 9, il livello di difficoltà diminuisce senza però intaccare il sapore del gioco ed il divertimento.

 

 

Perfetto! Ho recuperato la barra di plutonio che serviva per riparare i sistemi di navigazione. Ce la possiamo fare. Ormai lavoriamo davvero come un sol uomo.
John, ottimo lavoro là fuori con quelle braccia meccaniche: ora siamo in posizione per ripartire. E tu, George: sei sempre un maestro delle riparazioni elettriche.
Siamo al sicuro, ormai.
L’unica cosa che potrebbe far esplodere la nave, sarebbe che qualcuno riattivasse i cilindri energetici, prima delle ultime riparazioni.
Ma nessuno  potrebbe essere così stupido. Neppure Ringo. Vero, ragazzi?
Ragazzi,… Dov’è Ringo?
BOOM!

 

Una questione di orgoglio

Quello che è difficile da capire, e che si può provare soltanto giocando, è come Die Crew faccia leva sull’orgoglio dei giocatori al tavolo per tenerli incollati a quelle quaranta carte e dieci segnalini.

Intanto, non c’è traccia di giocatore Alfa (Il giocatore che, nei cooperativi, dice a tutti cosa dovrebbero fare, finendo per rovinare il gioco). Ognuno è responsabile delle proprie azioni. Il fatto che ogni errore possa compromettere la partita di tutti, crea al tavolo un senso costante di tensione. Tutti vogliono vincere. Ma soprattutto, nessuno vuole essere quello che rovina la missione (Vero, Ringo?).

Spesso, poi, vi capiterà di mancare un obiettivo per poche carte o per un attimo di distrazione. In quel caso è quasi impossibile alzarsi dal tavolo, abbandonano il gioco da sconfitti. La voglia di rigiocare una missione andata male è la molla che vi spingerà ad una partita dietro l’altra.

Thomas Sing, l’autore, doveva essere ben consapevole di questi elementi e ha fatto di tutto per enfatizzarli.

Il Logbook (libro delle missioni) contiene spazi per sei diverse squadre. Sarete quindi spinti a confrontare i vostri risultati con quelli di altre squadre (“Cosa? Con i tuoi colleghi siete già alla missione 8? E avete superato la sesta in soli due tentativi? Adesso gli facciamo vedere noi”).

E poi c’è il “Distress signal” (segnale di pericolo) che vi consente un piccolo aiuto (ogni giocatore può passare una delle sue carte ad un altro, prima di iniziare): non ci sono limiti all’uso. Dovete “soltanto” segnare sul logbook che non siete stati in grado di risolvere da soli quella missione e avete dovuto chiedere aiuto. Siete ancora così convinti di volerlo fare? O preferite provare un’altra partita, per vedere se ce la fate senza “l’aiuto da casa”?

 

 

“No, mettilo via! Ho già detto che ce la possiamo fare da soli!”

 

L’equipaggio

Ultimo, ma non meno importante. Die Crew fa leva non solo sul gioco di squadra, ma sul “diventare una squadra”. O, meglio, un equipaggio.

Se nelle prime partite saranno più frequenti le incomprensioni tra voi, di partita in partita i meccanismi del gioco si faranno più chiari a tutti i partecipanti.

Si arriva così a momenti di assoluta comprensione e, soprattutto, di vera e propria soddisfazione. Come quando si risolve un enigma particolarmente complesso, o si finisce un puzzle: soltanto che qui la sensazione è amplificata dal fatto che ci si è arrivati lavorando insieme.

 

Stazione spaziale internazionale

Al momento Die Crew è reperibile solo in tedesco. A marzo dovrebbe arrivare la versione inglese. Mi sento di scommettere che non dovremo aspettare molto per una versione italiana.

Nel frattempo sappiate che le carte non hanno testo e su Internet  si trovano già regolamento e libro delle missioni tradotti ((sia sul sito della Kosmos che su Boardgame Geek). Il gioco, quindi, è perfettamente fruibile anche nell’edizione tedesca.

 

Considerazioni finali

Die Crew è un gioco davvero notevole. Thomas Sing, l’autore, ha trovato l’uovo di Colombo: unendo tra loro meccaniche conosciute (trick taking, cooperazione, missioni) ha creato qualcosa di completamente nuovo.

Un gioco che con il minimo di materiali (e di costo: al momento si trova intorno ai 13 euro) è in grado di regalare serate ricche di divertimento ed enormi soddisfazioni. Qualcosa che, con il gruppo giusto, può creare dipendenza.

Salvo sorprese, un sicuro candidato allo Spiel des Jahres.


immagine-profilo

Martino “Panda” Gasparella

A Lucca 2008, una partita di Coloni di Catan mi ha aperto il magico mondo dei giochi da tavola moderni. Da allora sono quello che arriva alle cene da amici sempre con la borsa blu piena di scatole, o con qualche gioco di carte nella tasca del cappotto o dello zaino. Del resto, lo sguardo di chi, dopo aver giocato solo a Monopoli o Risiko, finisce la sua prima partita a Splendor o 7 Wonders, non ha prezzo. Amo i giochi cooperativi, quelli che, alla fine, lasciano una bella storia da raccontare e quelli dove, quando hai costruito bene, ogni mossa si incastra come in un meccanismo ben oliato. Se dovessi dire perché amo il gioco, dovrei citare Quinn (del sito “Shut Up and Sit Down”), che in una videorecensione una volta ha detto: “If you love the hobby of boardgames, one of the things you love, is sitting down with your group of friend and family and agreeing to share rules and behaviour that together creates an experience that is bigger of any of you. And within that process there’s warmth, and respect and a little bit of magic”. * Spero di riuscire a passare anche a voi, con i miei articoli, un po’ di quella magia. * = “Se ami l’hobby dei giochi da tavolo, una della cose che ami è sederti con il tuo gruppo di amici o con la tua famiglia e accettare di condividere regole e comportamenti che, insieme, creano un esperienza che è più grande di tutti voi. E in questo processo, c’è calore, e rispetto e un po’ di magia”.

2 risposte a “Recensione Die Crew: “Houston, abbiamo un giocone!””

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